Monica concept
Sono in galleria.
Va tutto bene salvo il mio horror vacui.
Ho necessità di riempire il mio tempo interiore, il mio spazio.
Con un’opera d’arte o con qualcosa di scritto non so.
Quello che mi viene in mente è il vuoto della vita, la vacuità della vita quotidiana, dei nostri gesti.
Osservando le persone vedo tanta povertà.
Povertà materiale, di spirito e di sentimenti.
La gente è disperata.
Non solo per la crisi economica ma anche perché sente il bisogno di qualcosa che non c’è, che non ha.
Sarà la solitudine? il vuoto dei sentimenti? uno stato esistenziale?
Non so di preciso ma vedo facce serie, a volte disilluse.
Nei miei percorsi in tram vedo tanta gente così.
Si potrebbe dire semplicemente :è l’umanità che è fatta così.
Ma io ho l’impressione che ci sia qualcosa di più, o meglio di meno.
C’è la forza di lottare, ma a volte l’esigenza di lasciarsi andare .
Poveri, drogati, alcolizzati gente senza fissa dimora . vivono la vita alla giornata cercando quei pochi spiccioli per un panino.
Non sanno dove lavarsi, e a volte sono persone che non hanno problemi economici ma sono esausti con un gran vuoto dentro.
Questo è quello che percepisco.
La mia vita va bene, è apparentemente perfetta, eppure anch’io sento quel vuoto, quella mancanza di qualcosa.
Potrebbe sembrare semplicemente la mancanza di un compagno, o di amici.
Ma non è soltanto quello.
È un vuoto interiore
Un desiderio di riempire la vita di qualcos’altro, che sia un’opera d’arte o un libro.
O cultura.
A volte mi chiedo se sia un problema di soldi, troppi o troppo pochi a volte.
Di avere un amore corrisposto.
Questo amore di cui tutti parlano però a me sembra effimero, volante, non sempre affidabile.
Non sempre affidarsi ad un’altra persona è la soluzione .
Resta l’arte, la creazione.
Il mettersi davanti alla tela o lavorare la creta.
Il sorgere di qualcosa d’altro, interno a te che vuole venir fuori.
Anche questo stesso senso di vuoto.
Che poi altro non è che troppo pieno.
Un affastellarsi di ricordi, di cose mai dette, mai espresse che rimangono dentro e non danno spazio al nuovo.
Sembra di provare un vuoto, in realtà si è sommersi da sensazioni, esigenze, bisogni non espressi che non lasciano spazio alla creazione di qualcosa di nuovo.
Solo esprimendosi si riesce a fare pulizia interiore.
A volte la realtà sembra superficiale.
Ma è come ci si sente che influenza il modo di vedere le cose.
Quello che a noi sembra superficialità in realtà è quello che noi vediamo già pieni di un nostro mondo interiore che non lascia spazio al mondo circostante.
La realtà non entra dentro di noi perché siamo già pieni di quello che percepiamo come vuoto.
Ecco che c’è un muro, una distanza tra noi e l’esterno.
E la realtà sembra superficiale.
Ci sono cose e pensieri che ci assalgono per esempio , come quelli di non adeguatezza o paura.
Quelli vanno a riempire un vuoto lasciato dalla realtà.
Di conseguenza non siamo connessi con il mondo circostante.
Quando sentiamo il senso di vuoto o di vacuità è perche’ non siamo in sintonia con il nostro io interiore.
C’è uno scollamento, una separazione tra chi siamo e quello che vediamo.
Ecco che nasce l’esigenza dell’opera d’arte.
Esigenza di esprimere nella realtà ciò che siamo e di ritrovare quel rapporto tra noi e l’esterno.
È quel percorso interiore, l’evoluzione di ognuno di noi , l’interiorità, il sogno che va a rapportarsi poi con la realtà.
Lo stesso disagio che io provo va a confrontarsi con un disagio reale, materiale, dei migranti di Lampedusa o dei passanti disperati.
C’è un trait d’union tra il mio mettermi a nudo e la loro condizione.
Tra la mia evoluzione e la loro lotta per l’esistenza che rappresenta anch’ essa una evoluzione.
Un assestamento nella vita reale, un voler combattere un destino avverso , cercando aiuti, cercando una nuova realtà più favorevole.
Ecco che il mio percorso, da donna bendata che non percepisce altro che sensazioni, a donna che agisce nel mondo circostante, prima carponi, poi osservatrice, poi sognatrice infine protesa al di là dell’ostacolo, è analogo al percorso del migrante che subisce la guerra nel suo paese e poi cerca una terra promessa in Italia, in Europa, e sacrifica a volte la sua vita per un sogno.
Che differenza c’è tra il mio e il loro?
La mia è probabilmente soltanto una dimensione onirica dove il mio disagio si trasforma in arte.
Il loro è il sogno di una vita migliore all’interno di una realtà sociale, economica e politica.
Come a dire che il mio disagio, non essendo economico, è meno importante.
Esprimo comunque la malattia del secolo, il bisogno di espressione dell’anima in una società che non ci soddisfa più, la stessa società a cui anelano questi popoli diversi da noi che vengono da situazioni ancor peggiori.
Se a noi il benessere fa male, per loro è un obiettivo, una certezza a cui arrivare, non solo economica ma anche sociale, politica e culturale.
Come a dire che loro sono linfa vitale nuova in un vecchio mondo e confrontandomi ne assorbo i contenuti , mi immergo nella realtà circostante assumo ed imparo nuovi valori.