Il vuoto della mente

Cap. 1

Paura. Paura con gli uomini, paura al lavoro. Paura di mettersi in gioco, paura di essere rifiutata. Tutti limiti che mi contraddistinguono che sono da superare. Eppure il mio amore per l’arte, per la scrittura e la poesia mi aiutano a combattere questi limiti. Quando ho tentato il suicidio, a 23 anni, non avevo idea di quello che stavo facendo. Stavo rinunciando alla mia vita, o almeno volevo farlo, per vari motivi. Non ero contenta con il mio fidanzato, prendevo farmaci per la depressione, che mi facevano salire ancora di più l’ansia di cui soffrivo in realtà, mia madre aveva avuto un trauma cranico ed era immobilizzata a letto e mio padre era andato via di casa anni prima. Tutto questo contribuì alla mia idea di farla finita quella mattina, invece di andare all’università. Mi ero iscritta a lettere, storia dell’arte, e il mio ragazzo mi aveva prestato la macchina fidandosi di me. Ed io ho pensato bene di andarmi a schiantare contro un guard-rail che miracolosamente ha retto.

Poi c’è stato il disegno, l’accademia, una nuova vita. Come se non fosse successo niente. Ma in realtà il cambiamento c’era stato eccome. Il mio ragazzo mi lasciò, per altri motivi. Lo studio di mia madre, che nel frattempo si era ripresa, era off- limits. E i miei fratelli non seppero mai la verità. Fu così che cominciai a disegnare, a occuparmi di me stessa in altro modo che non fosse l’università, e oggi mi pento di non aver continuato quella strada. Perché poteva darmi una cultura e potevo essere la brava ragazza che tutti in precedenza adoravano. Ma non fu’ così. Diventai una ribelle, e dovevo fare i conti con gli psichiatri ora.

Ad oggi lavoro in una galleria d’arte, con delle storiche dell’arte, gente che ha fatto un percorso simile al mio, ma più determinate, più colte e soprattutto più addentro alla materia. Io ho me stessa, la mia sensibilità ed il mio amore per l’arte che mi fanno dare il massimo in questo lavoro. Vorrei aprire un blog, per parlare di me, delle mie esperienze, di come l’arte mi ha salvata. Vorrei superare le mie paure e la mia chiusura in me stessa per confrontarmi con loro. Io ho studiato all’ Accademia di belle Arti, un qualcosa di simile ma non uguale. E mi sento di poter dare tanto. Ma a volte mi blocco, le mie paure, la mia mancanza di iniziativa. Così c’è il vuoto della mente, e qualcosa di romantico mi prende dentro, come se in quel momento potessi trascendere e creare. Mettermi in comunione con il mio spirito.

A volte penso di rimettermi sui libri. La mia mente allora era talmente intricata che non riuscivo a studiare. Adesso riuscirei. Ma ho già una laurea, ed il confronto con gli altri mi spaventa anche se mi sarebbe utile studiare. Sono in galleria, e la mia collega sta facendo una perizia, cosa che io non so fare. Mi chiedo come posso migliorare le mie capacità. Forse soltanto studiando di più mi dico. Sento il gap generazionale, sociale e culturale con gli altri. Mi sento ancora piccola. Non formata, eppure una formazione ce l’ ho . allora mi dico di essere positiva, di pensare al meglio che posso. Mi piace scrivere, mi piace dipingere, e devo soltanto stare dietro alla galleria come meglio posso. Ho sempre fatto l’artista fino ad ora, non so niente di contratti ma so scrivere un concept e commentare un’ opera. Posso fare delle traduzioni e posso prendere l’iniziativa ma non so usare bene i social ed è una cosa molto utile.se mi metto a studiare mi sento incapace, indietro, in ritardo. Forse dovrei fare un altro master o forse solo impratichirmi con il computer. Ma sento che la mia vocazione è un’altra, scrivere.

Cap 2

Mio Padre è stato male, di nuovo. Stanotte l’ho sognato , erano giorni che non lo sentivo. Un senso di oppressione al cuore, di dolore mi ha pervasa. Quella incomunicabilità, quella rabbia, quel senso di impotenza per la sua malattia. Comprendi, mi dico, accetta. Ma ho paura del rifiuto, di essere trattata male ancora una volta. Quando sta bene mio padre diventa aggressivo con me. “cosa ci sei venuta a fare qui” mi ha chiesto l’ultima volta. “le tue storie sono banali, raccontami cose più interessanti”. Gli ho parlato del mio lavoro, del mio ruolo in galleria, di come sia difficile tenersi un lavoro anche se soltanto part- time al giorno d’oggi. “sei troppo qualificata” mi ha risposto. “perché non ti impieghi da qualche parte invece.”sono andata via con la coda tra le gambe, con l’aria di quella che ha sbagliato tutto, che volendo seguire le proprie passioni si è persa.

Stamattina mi manca mio padre e decido di chiamarlo. La voce di un vecchio, sofferente, che mi dice che sta diventando cieco e che ha un badante a casa ora. Mi sento ancora una volta una stupida, per non aver risposto al telefono, per essermi fermata alla sua rabbia temporanea, punta di un iceberg di emozioni molto più profonde che lui cela dentro di sé. Ho pensato a mio padre come ad un eroe. Uno che ha affrontato sempre la sua vita da solo, rimanendo saldo sui suoi principi e che ora è alla fine della vita ed ha paura. “ non ci sono stato nella tua vita , Monica, poco, ma per grossi problemi, credimi. Ti voglio bene tanto, tu sai quanto te ne voglio. Sei una donna forte, non ti abbattere”. Non mi scendono lacrime quando sento lui parlare così anzi divento più determinata. Penso a quanto tempo abbiamo perso io e lui, a quanto ci siamo sentiti soli tutti e due, negandoci un rapporto di amore e di affetto che quando ero piccola era molto saldo. Penso che allora non ho sbagliato, che non so niente dei sensi di colpa di un vecchio padre che se n’è andato di casa improvvisamente lasciando dei figli piccoli. Penso che devo prepararmi ad un ‘ altra sfuriata ed andarlo a trovare. “ Ogni volta che ti parlo penso che tu abbia capito qualcosa, invece non è così. Sei molto peggio di quel che credevo, cara.”e via discorrendo. “ chiamami non una volta al mese ma magari due. Le tue telefonate mi riempiono di gioia “ mi dice oggi. Al telefono è diverso, mi dico, forse si sente più schermato nella sua fragilità. È quando lo vado a trovare che si scatena, si ricorda che ho solo un lavoro part- time, mi considera succube di mia madre e sa che vado dallo psichiatra. Ma io fino a stamattina non ho mai pensato che potrebbe essere il contrario, potrebbe essere arrabbiato con se stesso. Per non esserci stato. Per non averci dato l’educazione che voleva. Per non averci consolato nei nostri errori e gioito con noi delle nostre vittorie. “ quante emozioni, quanti sentimenti di voi mi sono perso “ mi ha detto un giorno. “ le tue storie sono ordinarie, quando mi parlerai di qualcuno che ti vuole bene affronteremo l’argomento”.

Aspettava un nipotino mio padre. Cosa che non sono riuscita a dargli, perché ho l’utero inverso ed è molto difficile per me rimanere incinta. “Perché non ti sei sposata almeno”, mi dice.niente, neanche questo. Un lavoro part- time e qualche acquarello all’attivo ultimamente. Domenica glieli porterò i miei acquarelli, che di sicuro non saranno belli come quelli di sua sorella ma che sono una cosa che ho fatto io.

A volte sfido la sua pazienza con la mia immobilità. Quando sono depressa mi chiudo in un’ostinata forma passivo-aggressiva, lo facevo anche da bambina. Stavo lì e non parlavo per giorni.

Il mio psichiatra mi ha chiesto di lui, del perché è sempre così distruttivo con me. Mi ha suggerito che forse è il suo disturbo che parla. Io lo ringrazio lo psichiatra ma credo che la risposta sia molto meno razionale: “ è pieno di rabbia nei confronti di mia madre che ha distrutto lui e la famiglia, sensi di colpa per non averci seguiti e non ultimo orgoglio maschile che gli impedisce di mettersi in discussione. O di chiedere aiuto. Soltanto mio fratello, più equilibrato di me sicuramente, si è occupato di lui, della sua casa, della sua macchina, della sua spesa. Da me non si aspetta molto, una telefonata ogni tanto. E io glie ne sono grata perché non saprei come altro aiutarlo se non ascoltando e comprendendo, accettando che mio padre è un uomo a volte fragile e che non è il supereroe di quando ero bambina. “ sei la più intelligente dei miei figli “ mi ha detto un giorno dopo avermi parlato della morte. “ non c’è da preoccuparsi o da avere paura, papà, la morte è un fatto naturale, un semplice passaggio per chi crede. “ “ ho paura”, mi risponde. “Ci penso continuamente. È per questo che voglio lasciare un segno con il mio libro e le mie favole”.

Incubi di un uomo solo.

Cap.3

Nonostante l’assenza di mio padre io provo amore per la vita. Ho imparato molto da quando quell’amore io lo rifiutavo, volendo farla finita o trattando male i miei familiari. L’aggressività che provavo, ora sopita, direi repressa, non c’è più o meglio è accantonata in un angolino della mia anima. Mio padre non risponde al telefono, volevo ricordargli del compleanno di mio fratello che è oggi. Lui dimentica sempre i compleanni. Quando vedo bambine, ragazze con il nonno o con il papà penso a come sarebbe stata la mia vita con un padre. Probabilmente non avrei un disturbo bipolare, ma forse non avrei avuto quella libertà di cui ho goduto. Fino ad ora. La galleria mi assorbe parecchio, ma è un lavoro part-time ed ho tempo per me. Per scrivere. Continuo a guardare cosa propongono le università, ora mediazione linguistica ora Arti e spettacolo. Ma non mi decido mai, forse perché il mio lavoro mi soddisfa ancora ed anche perché non ho altri soldi da investire nel mio futuro. Ho 50 anni anche se non li dimostro. Il tempo degli studi è accademicamente finito da un pezzo.

Penso a cosa potrei raccontare alle adolescenti di ora: una storia d’amore tormentata, un passato da pittrice e un disturbo bipolare. Niente figli e la compagnia di un gatto, pallina con l’aggiunta di sei nipoti di tutte le età. Penso a quando sarò vecchia davvero, che magari nessuno mi verrà a trovare. Penso che quelle adolescenti sbufferebbero, ai miei racconti: come l’arte mi ha aiutata , come la famiglia mi è stata vicino, come il mio ragazzo mi coccolava. Soffro di questa malattia da quando ero molto giovane, avevo circa 15 anni quando la mia mente ha cominciato a confondersi in un groviglio senza fine, una zona oscura. Come mio padre. A scuola andavo bene, ma avevo a casa dei momenti in cui la confusione prendeva il sopravvento, e le mie emozioni erano fuori controllo. Cecavo amore, affetto, comprensione. E accusavo mia madre di non capire. Poi piu’ tardi la diagnosi di depressione allo stato primario, secondo lo psichiatra inguaribile. Ci ho messo 30 anni a guarire, ad uscire da quel magma di pensieri confusi che ottenebravano la mente e nessun ragazzo riusciva a capire il mio dolore. Una pletora di psicologi, psichiatri mi seguivano. Ho provato con lo yoga, la meditazione, l’esercizio fisico. Quel disagio rimaneva, fino a quando non ho cominciato ad accettare e volermi bene. Piano piano, anche con l’aiuto dei farmaci, le nebbie si sono diradate. Ho ricominciato a leggere, a disegnare e ad avere una forte convinzione;:io ne sarei uscita. Così, tra attacchi di panico e disperazione, andavo avanti, dicendomi che ce l’avrei fatta, che sarei guarita prima o poi . e poi è successo. Il mio psichiatra, che mi ha curata per una vita, è morto, ed io ho capito che ero sola, che avrei dovuto farcela con le mie forze. Andare a lavorare, dopo aver provato a studiare Teologia, è stato un grande passo: i primi tempi tornavo stanchissima ma ora non sento più quella stanchezza. Sono tranquilla , ho trovato la pace nel cuore. Ho fatto pace con il mio ex, che pensava che la nostra storia non ci portasse da nessuna parte.. nessuna progettualità, pochi incontri. Gli ho augurato ogni bene, dopo aver pianto per 4 anni in una chiesa, sanando il mio cuore con la comunione presa ogni mattina. E poi il miracolo, uno spicchio di luce nella mia vita, un nuovo inizio. Non mi importava più se lui mi amava o no, non mi importava se ero depressa. Non avevo niente ed ero felice. Felice di respirare, di esistere, così ho scritto un libro, anzi due, e continuo a scrivere, per mio piacere e diletto, e per ricordarmi chi sono, da dove vengo e dove sto andando. Il momento della scrittura è un momento intimo, quasi sacro. Mi metto a nudo e molte cose rimangono per me. A volte, se qualcuno mi chiede, stampo qualcosa e lo divulgo. Ma in genere no. Ho pubblicato il primo libro ,è vero, ma è stato un gesto catartico. Volevo mettere un punto e ci sono riuscita. Il vuoto della mente è anche libertà, creatività fantasia. Dal vuoto nascono tutte queste cose, come dal silenzio. Il silenzio dell’ascolto, della meditazione, della preghiera. Sono fortunata.